lunedì 7 settembre 2009

2.6. I barbari ai tempi di Marco Aurelio

Le popolazioni che ai confini dell’impero vivono allo stato tribale, i cosiddetti barbari, non sono in grado di competere coi romani e devono subire le loro politiche, che, di norma, sono dettate dalle circostanze e rispondono ad esigenze legate alla sicurezza, all’andamento demografico, a questioni economiche o che si inseriscono in un progetto di espansione. A volte vengono attaccati e massacrati, altre volte vengono catturati, deportati, insediati in aree spopolate, obbligati a lavorare la terra o ad arruolarsi nell’esercito. Non sempre sono i romani a prendere l’iniziativa: talvolta è un capotribù che, spinto da condizioni avverse (carestie, accesa rivalità con altre tribù, pressione da parte di nemici esterni), chiede ai romani di essere accolto, offrendo loro le proprie braccia. La collocazione maggiormente richiesta, sia dai barbari che dai romani, è nell’esercito, il quale rappresenta “un importante canale di promozione sociale” (BARBERO 2007: 17), consentendo al barbaro di accedere alla cittadinanza ed integrarsi. I contingenti barbarici sono comunque limitati e sotto il pieno controllo degli ufficiali romani.
Sotto il regno di Marco Aurelio le tribù barbariche cominciano ad unirsi fra loro sotto un capo comune e assumono l’aspetto di popolazioni alquanto numerose e temibili e, così compattati, si fanno più intraprendenti e penetrano nel territorio romano a scopo di razzia, oppure chiedono di essere accolti in massa e impiegati come coloni o arruolati come guerrieri. All’imperatore non resta che scegliere fra l’uso delle armi o quello della diplomazia, fra muovere le sue legioni verso la guerra o cedere alle richieste di quei disperati e accoglierli nel proprio territorio da una posizione di forza e impiegarli nel modo a lui più opportuno. Alla fine sceglie questa seconda via e intere popolazioni barbariche possono entrare pacificamente in suolo romano, in condizione di sottoposte, e insediate qua e là, secondo le disposizioni dell’imperatore e tenute sotto controllo dai funzionari provinciali e dalle loro guarnigioni. In questo modo, non solo si evitano guerre inutili e dispendiose, ma anche si sfruttano la manodopera e i servigi militari dei nuovi venuti, i quali tra l’altro devono versare un tributo, come gli altri cittadini, e quindi contribuiscono a rimpinguare le casse dello Stato. Se qualche capo barbaro tenta di sollevarsi contro i romani, questi non esitano ad assoldare un altro capo barbaro e lo muovono contro al primo, facendo in modo che si neutralizzino a vicenda e senza dover scomodare le legioni. Questa politica si rivela valida, tanto che verrà praticata da tutti gli imperatori, almeno fino a Teodosio.

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