lunedì 7 settembre 2009

2.12. Da Diocleziano a Costantino

Alla morte di Numeriano, che avviene per assassinio, l’esercito d’oriente acclama augusto Diocleziano (284-305), un militare di carriera, di umili origini, ma di grande energia e dalle straordinarie doti di organizzatore. Carino muove guerra al rivale, forse annoverando fra i suoi ufficiali, un ambizioso personaggio di origini oscure, Costanzo, detto Cloro, cioè “pallido”. Le sorti della battaglia sembrano volgere a favore di Carino quando, l’assassino di questi da parte di uno dei propri ufficiali, regala la vittoria a Diocleziano, che si mostra clemente coi vinti. Costanzo è uno degli ufficiali graziati: egli deve lasciare, presso la corte di Diocleziano, il figlio Costantino, come garanzia della propria fedeltà. Dunque, Diocleziano chiude il cinquantennio di anarchia militare. È l’uomo nuovo, l’uomo della rinascita. E, in effetti, il suo comportamento introduce importanti elementi di novità. Non vuole più affidarsi esclusivamente alla forza e, grazie alle sue buone qualità politiche, riesce a trovare un modo per assicurare la necessaria stabilità di governo all’impero senza ricorrere alle armi. Così, nel 286, decide di dividere il potere con un suo collega d’armi, un certo Massimiano (286-305), uomo rozzo e semianalfabeta, padre di Massenzio, cui affida l’Occidente, riservando a sé l’Oriente. Nel complesso, il giudizio che possiamo esprimere sugli imperatori di questo periodo non può essere del tutto negativo: il più delle volte si è trattato dei buoni soldati che, in un momento difficile, sono riusciti a puntellare un impero traballante, preservandolo dal caos totale.
Intanto, verso il 280, Costanzo incontra Elena, una fervente cristiana, che è impiegata come inserviente di osteria, lavoro ritenuto non adatto ad una donna perbene, dalla quale ha un figlio, Costantino (ca. 280). Per ragioni di carriera, nel 289 Costanzo ripudia Elena e sposa Teodora, figliastra di Massimiano, dalla quale ha altri tre figli e tre figlie. Nel 293, per rendere più agile l’amministrazione dell’impero, vengono nominati due cesari, uno dei quali è il suddetto Costanzo, che ottiene le province della Gallia e della Britannia, l’altro è il generale Galerio, un ex-mandriano, che prende in isposa Valeria, figlia di Diocleziano, e assume il comando dell’Illiria e dei Balcani.
L’esistenza di quattro sovrani, due augusti, di rango superiore, e due cesari, di rango inferiore, dovrebbe rendere più difficile l’azione di eventuali usurpatori e più tempestiva la risposta dell’impero ad eventuali minacce, in qualunque regione originate. La tetrarchia è, in pratica, una risposta alla sete di stabilità politica. che proviene da ogni parte sociale, dopo che i ripetuti tentativi di fondare una dinastia, da parte degli aristocratici, sono falliti. Ma Diocleziano fa di più: raddoppia le province dell’impero, portandole da cinquanta a cento, nell’intento di indebolire i governatori locali e renderli incapaci di ordire rivolte. A tutta prima, il nuovo sistema sembra funzionare e rende possibile il conseguimento di rilevanti successi militari e l’attuazione di importanti riforme sociali, come quella che, allo scopo di evitare che le campagne e l’esercito si spopolino, impone ai figli di continuare il lavoro dei padri.
Da questo momento, il figlio del contadino è tenuto a fare il contadino, il figlio del soldato il soldato, e così via. Insomma, il mestiere si eredita. Questa legge ha conseguenze assai negative per i contadini, che rimangono prigionieri a vita della terra che coltivano, ossia, come verranno chiamati in seguito, servi della gleba (gleba = zolla, terra). L’unico modo di sfuggire a questa condizione è quello di rifugiarsi in luoghi isolati e cercare di sopravvivere senza farsi notare, come l’eremita, oppure darsi al brigantaggio.
Roma non si espande più da tempo e i soldati non possono più contare sui bottini di guerra, mentre la loro paga appare inadeguata a compensare i sacrifici richiesti e il rischio della vita, e, pertanto, il loro morale è molto basso. Gli elevati costi dell’esercito possono essere coperti solo con un inasprimento delle tasse insostenibile per gran parte della popolazione, che è già afflitta dalla miseria. Solo le grandi proprietà assicurano un elevato reddito ai già ricchi padroni, mentre è sufficiente un breve periodo di carestia per mandare in crisi i piccoli contadini, i quali sono così scontenti delle proprie condizioni che molti di loro rinunciano volontariamente alla propria libertà e vanno a lavorare come servi presso i latifondi dei ricchi signori, dove ottengono cibo e protezione. Nasce così la figura del contadino-servo o colono, che si affianca a quella dello schiavo. Schiavi e coloni vivono sostanzialmente allo stesso modo, cioè in miseria, con la differenza che i coloni vengono chiamati alle armi qualora vi sia la necessità, gli schiavi no. Ormai, le uniche categorie di lavoratori che possono permettersi una vita agiata sono gli artigiani, i bottegai e il clero.
Nel 305 Diocleziano, stanco e malato, decide, caso unico, di ritirarsi a vita privata, e invita il collega Massimiano a fare altrettanto. Al loro posto si insediano Costanzo I (305-306) e Galerio (305-311). Adesso bisogna nominare i cesari. In base al principio dinastico, i naturali candidati sono Costantino e Massenzio, ma si preferisce quello del merito e, pertanto, si decide di nominare un certo Massimino Daia, nipote di Galerio, che si insedia in Egitto e in Siria, e un tale Severo, un oscuro ufficiale, cui viene affidato il governo dell’Africa, dell’Italia e della Pannonia. La tetrarchia è ripristinata, ma la situazione appare squilibrata, perché la fetta più grossa del potere è nelle mani di Galerio, il quale può anche contare sull’appoggio dei due cesari, mentre Costanzo rappresenta la parte più debole.
Intanto, i Pitti invadono la Britannia e Costanzo, dovendoli respingere, chiede a Galerio di poter riavere il figlio Costantino, che si trova ancora nella sua corte. Seppur con riluttanza, Galerio acconsente. Costantino ha circa 25 anni ed è un uomo fiero e orgoglioso, provvisto delle doti naturali del capo e di una smisurata ambizione. Il suo fisico è possente e il coraggio non gli manca e, anche se non è istruito, è sufficientemente intelligente per capire l’importanza della cultura. I suoi tre fratellastri, Giulio Costanzo, Dalmazio e Annibaliano, sono di tutt’altra pasta e non sono animati dalla stessa ambizione. Costantino raggiunge il padre agli inizi del 306 e partecipa alla vittoriosa guerra contro i Pitti, avvalendosi del contributo di un grosso contingente di Alemanni, primo esempio di un esercito barbaro, che combatte a fianco dei romani.
Pochi mesi dopo Costanzo muore e le truppe acclamano augusto Costantino (306-337). Galerio è disposto a concedergli solo il titolo di cesare, e Costantino accetta. Questa volta è Massenzio a frsia acclamare augusto dalle truppe (306), associando al regno il padre Massimiano. Severo gli muove contro, ma viene sconfitto e messo a morte. Adesso si profila una guerra civile tra Galerio da una parte, Massimiano e Massenzio dall’altra, con Costantino in mezzo a fare da ago della bilancia. Entrambe le parti cercano di avvicinare a sé Costantino, Massimiano dandogli in isposa la figlia Fausta, Galerio riconoscendolo augusto, ma ciò che riescono ad ottenere è solo la sua neutralità. Così, Costantino non si muove quando Galerio entra in Italia e assedia Roma per poi levare le tende e ritornare in Oriente, quando si accorge che la sua impresa è impossibile, a causa delle diserzioni fra i suoi soldati, che sono corrotti da Massenzio. Inutilmente Massimiano cerca di convincere il vecchio Diocleziano a ripristinare il loro potere imperiale.
Per risolvere l’intricato quadro politico, nel 308 gli augusti e i cesari si riuniscono, insieme a Diocleziano, e si rimettono al suo giudizio. Le decisioni di Diocleziano sono le seguenti: in Oriente, Galerio rimane augusto e Massimino Daia cesare; in Occidente, il titolo di augusto va a Licinio (308-324), un ufficiale di Galerio, uomo ambizioso e spietato, quello di cesare a Costantino. Massimiano viene dichiarato decaduto dal ruolo e Massenzio proclamato usurpatore. A Costantino viene chiesto di rinunciare al titolo di augusto, ma questi rifiuta. Ormai ci crede e, non sentendosi inferiore a nessuno dei suoi avversari, vuole giocare fino in fondo la sua partita. Non gli dispiacerebbe di fondare una propria dinastia: l’unico problema è quello di non discendere di nobile stirpe, ma non sarà difficile risolverlo in qualche modo. Anche Massimiano rientra in corsa, ormai senza il figlio, e si fa proclamare imperatore dai suoi soldati, proprio ad Arles, nel territorio di Costantino, il quale interviene e lo costringe alla resa: in quell’occasione, non è chiaro se Massimiano viene indotto al suicidio o fatto uccidere dal genero (308).
Da questo momento Costantino imprime una svolta alla sua politica e punta ormai direttamente al potere solitario, ed ecco saltare fuori la sua discendenza dall’imperatore Claudio il Gotico, che lo pone ad un livello più elevato rispetto ai concorrenti e lo legittima, lui solo, a governare. Costantino confida nella buona sorte e, soprattutto, sull’appoggio del dio dei cristiani, ai quali consente la libertà di culto (311). Intanto muore Galerio (311) e ne risulta la seguente situazione: Costantino ha le Gallie (Gallia, Britannia e Spagna), Massenzio l’Italia e l’Africa, Licinio la Pannonia, Massimino Daia l’Oriente. Costantino trae dalla propria parte Licinio dandogli in sposa la sorella Costanza, mossa che induce Massimino a riconoscere Massenzio, e scende senza indugio in Italia prima che Massenzio possa ricevere aiuti dall’alleato orientale. Grazie ad una brillante e fulminea azione, Costantino giunge in vicinanza di Roma e, nei pressi del Ponte Milvio sul Tevere, ingaggia battaglia contro il suo nemico, che rimane sconfitto e muore, mentre fugge, annegato nel fiume (312). La lotta fra i due viene anche vissuta come lotta fra cristianesimo e paganesimo, e Costantino si conferma nell’idea che il dio dei cristiani è veramente grande e che quella religione va sostenuta ad ogni costo.
Nel 313, morto Massimino, rimangono solo in due, Costantino in Occidente e Licinio in Oriente, a contendersi il potere. I due prendono a combattersi per la supremazia, ma giungono infine ad un accordo, quello di dar vita a due dinastie. Entrambi scelgono come cesari i loro figli ventenni, rispettivamente Crispo e Liciniano (317) riproponendo, in forma dinastica, la vecchia tetrarchia. Dopo qualche anno i due riprendono a combattersi e, alla fine, ha la meglio Costantino, che può contare sul valido sostegno di Crispo, il quale rivela doti di valente condottiero. Da questo momento (323) Costantino è imperatore unico e incontrastato, e può dedicarsi alle questioni politiche e, soprattutto, a quelle religiose, che costituiscono il suo “hobby” preferito. Costantino, dunque, fa propria la causa del cristianesimo, anche se non sembra essersi del tutto liberato della sua natura pagana. Egli, infatti, è certo che la sua affermazione è legata all’appoggio del Dio dei cristiani, ma anche alla Fortuna, alla quale, riconoscente, fa erigere una statua. Ormai è il capo incontestato e il suo potere è legittimato sia dalla forza delle armi che dal Dio dei cristiani, Può fare quello che vuole. Può eliminare, per esempio, persone a lui scomode o non gradite. Così, nel 325, fa uccidere Licinio, insieme al figlio Liciniano, e, l’anno seguente, fa giustiziare il figlio Crispo e la moglie Fausta, ingiustamente accusati di cospirazione.

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