Roma, dunque, si espande, ma il cammino non è facile: le occorrono 140 anni per conquistare l’Etruria (406-265), più di 50 anni per sottomettere i Sanniti (343-290) e 5 per avere ragione dei Tarantini, (280-275). Saggiamente, i romani concedono ai popoli sottomessi una parziale autonomia, e ciò contribuisce a produrre legami stabili fra vincitori e vinti. Nella prima metà del III secolo, Roma è già padrona di gran parte della penisola italica, dall’attuale Toscana alla Calabria, ormai è una potenza di primo piano nello scacchiere mediterraneo e si sente abbastanza forte da insistere nella sua politica di espansione. È questo il momento in cui molti cominciano ad avvertire l’esigenza di conoscere la sua storia, soprattutto quella relativa alle sue origini. Da chi e quando è stata fondata Roma? Perché è diventata così potente? Qual è il suo destino?
Utilizzando i racconti mitici che circolano oralmente, Fabio Pittore (254-?) descrive le origini gloriose della città e la sua discendenza divina, ricostruendo una storia esaltante, tale da spiegare e legittimare il potere di Roma e la sua politica espansionistica. L’idea che sostiene il pensiero di Fabio è che un cattivo Stato non potrebbe compiere grandi imprese e il fatto stesso che Roma abbia conquistato un impero è un’evidente dimostrazione della sua superiorità morale, quanto meno nei confronti dei popoli vinti .
Ora Roma ha le carte in regola per proseguire nel suo cammino di conquista. Il nemico si vede già all’orizzonte ed è il più ostico fra quelli affrontati in precedenza: Cartagine. Sono necessarie tre guerre (264-146) per annientare l’acerrima nemica e, ogni volta, Roma annette nuovi territori e incamera nuove ricchezze, diventando sempre più cinica e pragmatica. Nel 259 può avere luogo il primo mercato degli schiavi.
Intorno al 242 i comizi centuriati vengono aumentati di numero e assumono il potere di eleggere annualmente i magistrati maggiori (consoli e pretori) e di votare importanti leggi (leggi centuriate). Inoltre, da quando una legge dello Stato vieta ai senatori il commercio e l’industria (218 a.C.), inizia l’ascesa di una nuova classe sociale, l’ordine equestre, che costituisce l’antesignana della borghesia. Cavalieri arricchiti possono mettersi a capo di partiti plebei e sfidare l’autorità del Senato. Così la plebe riesce a conquistare gran parte dei diritti civili e politici, anche se limitatamente ai plebei che si sono arricchiti con attività industriali e commerciali, che sono quelli che esercitano il maggior peso nei comizi, mentre i plebei più umili sono di norma schiacciati dai debiti e appaiono incapaci di godere di quei diritti.
Quando Cartagine viene piegata (202), ormai Roma controlla un vasto impero e nessun nemico la minaccia. L’incrollabile fede nella superiorità di Roma, che aveva animato il pensiero di Fabio Pittore, rimane impressa nei cuori della gente e trova un insigne vessillifero nello storico Polibio (201-120), che, forse anche perché si trova a vivere in un periodo in cui la repubblica romana attraversa un periodo di irresistibile ascesa, vede nell’assetto politico di Roma un modello difficilmente superabile (VI, 18), dal momento che compendia le tre migliori forme di governo: quella monarchica, rappresentata dal consolato, quella aristocratica, rappresentata dal senato, e quella democratica, rappresentata dalla plebe (VI, 12-14).
Dopo la seconda guerra punica, molti pensano che Roma dovrebbe limitarsi a difendere i propri confini e ad assicurare la pace ai propri sudditi, e invece la sete di conquista non si arresta e la città persevera nella sua volontà aggressiva, alla ricerca di nuove ricchezze. Nei successivi cinquant’anni Roma conquista la Spagna, la Macedonia e la Grecia, e incamera enormi bottini di guerra, che vengono divisi tra le famiglie patrizie e i comandanti militari, ed anche una moltitudine di schiavi, che vengono impiegati nei lavori più umili. Ciò non fa che rafforzare la convinzione della gente di trovarsi di fronte ad un sistema socio-politico perfetto, come avevano sostenuto Fabio Pittore e Polibio, anche se non mancano le voci discordanti. Una di queste è quella di Carneade (215-129), il quale mette in dubbio che l’impero romano abbia una base etica (SINCLAIR 1993: 373).
13. Presente e Futuro
15 anni fa
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