lunedì 7 settembre 2009

2.1. Diffusione del cristianesimo

Intanto Paolo (5-67), dopo essere stato fulminato da una visione, riesce a cogliere il profondo significato della “lieta novella” e si converte al cristianesimo. Ripensa al messaggio “amate Dio e il prossimo”, che collega alla resurrezione e alla tradizione messianica del giudaismo e, alla fine, conclude che il Risorto è veramente Dio e il regno che ha preannunciato è davvero imminente. Cristo ritornerà sulla terra (questo ritorno è chiamato parusia) e anche i morti risorgeranno, tutti, buoni e cattivi, solo che i buoni entreranno nel regno di Dio e saranno felici, i malvagi invece saranno condannati alla perdizione eterna. Paolo è convinto che non c’è tempo da perdere: tutti, ma proprio tutti (compresi i non-ebrei), devono conoscere il lieto messaggio, affinché a tutti sia data la possibilità di salvarsi.
Volendo comunicare questa sua illuminazione agli apostoli, Paolo si reca a Gerusalemme, ma viene accolto freddamente. Evidentemente, gli apostoli non si fidano di lui o rifiutano l’idea di aprire ai non-ebrei, i cosiddetti gentili. Paolo, che è un caparbio, non desiste e, ritornato nella sua terra, in Cilicia, comincia a diffondere la “sua” lieta novella a tutti quelli che sono disposti ad ascoltarlo. Poi, non contento, inizia il suo primo viaggio missionario (44), trovando buona accoglienza e facendo proseliti. Il regno dei cieli è vicino, annuncia. Amatevi l’un l’altro e raccoglietevi in preghiera, ma, soprattutto, ricordatevi di divulgare il messaggio a quanta più gente potete. Io devo proseguire il mio viaggio, perché il tempo è veramente poco, e tutti devono sapere. Così nascono le prime comunità cristiane fuori della Giudea. Nel 48 Paolo può ritornare a Gerusalemme e porta queste belle notizie agli apostoli, che si limitano ad una tiepida approvazione. Tuttavia, vedendo la caparbietà e l’ostinazione di quell’uomo, la sua fede profonda e appassionata, le sue idee lucide e cristalline, gli apostoli non possono fare a meno di autorizzarlo a proseguire nella sua opera di evangelizzazione nei confronti dei gentili.
A Paolo basta un niente per rimettersi in moto e così, nel 50, intraprende un secondo viaggio, e fonda nuove comunità cristiane, che affida a suoi rappresentanti. Poi, notando che spesso le comunità che ha fondato reclamano la sua presenza alla scopo di chiarire qualche dubbio o comporre qualche controversia, Paolo viene colpito da un’idea: se mettessi per iscritto i contenuti della religione che vado predicando, le comunità potrebbero attingere nello scritto ciò di cui hanno bisogno e rendersi autonome dalla mia presenza, mentre io potrei essere libero di proseguire la mia opera missionaria.
Una delle domande che ricorrono con maggiore frequenza è: “perché il regno di Dio tarda a venire?” Più passa il tempo e più questo interrogativo si fa pressante e ineludibile. Nella prima lettera ai Tessalonicesi, composta intorno al 50, Paolo coglie l’occasione di affidare alla penna la sua risposta, in modo che la questione sia definita in modo chiaro e una volta per tutte: “Noi, che saremo ancora vivi, saremo portati in alto, tra le nubi (…), per incontrare il Signore. E da quel momento saremo sempre con il Signore” (4,17). Sono trascorsi circa venti anni dalla morte di Gesù, e Paolo vuole rassicurare i fedeli: la parusia avverrà mentre noi “saremo ancora vivi”. Noi, chi? Paolo si sta rivolgendo ad una comunità di cristiani composta da persone di ogni età. Se quel “noi”, significa “tutti noi”, allora la parusia dovrebbe realizzarsi immediatamente o, al massimo, entro pochi giorni; se significa “alcuni di noi”, in questo caso i tempi della parusia si dilatano fino ad abbracciare un arco di tempi di diversi anni; se significa “almeno uno di noi”, allora il limite massimo della parusia dovrebbe corrispondere al limite della longevità umana, che, ai tempi di Paolo, non supera gli ottant’anni. In pratica, la risposta di Paolo è chiara, ma vaga, potendo coprire un arco di tempo, cha da zero a ottant’anni: può voler dire “subito”, adesso”, “in questi giorni”, “entro il presente anno (il 50)”, oppure “un qualsiasi giorno entro il limite massimo dell’anno 130”. Una copia della prima lettera ai Tessalonicesi viene inviata alle varie comunità e tutti possono interpretare quelle parole a sostegno della propria fede. In ogni caso, anche se gli anni passano, la risposta non cambia e ogni fedele è autorizzato a pensare che, entro poco tempo, il Signore instaurerà il suo regno eterno e lui potrà entrarne a far parte.

2.1.1. Paolo e Pietro
L’operato di Paolo è tale che molti gli attribuiranno, e a buon diritto, il merito di essere stato il vero fondatore del cristianesimo: “senza Paolo nessuna chiesa cattolica, senza Paolo nessuna teologia dei Padri greci e latini, senza Paolo nessuna cultura cristiano-ellenistica, senza Paolo nessuna svolta costantiniana” (KÜNG 1995: 406). Per quel che riguarda Pietro, almeno per quarant’anni dopo la sua morte, non si conoscono testimonianze in grado di attestare la sua presenza a Roma come vescovo: nella Lettera ai Romani (58) Paolo non lo nomina, né lo menzionano gli Atti degli apostoli (61) quando danno notizia dell’arrivo di Paolo a Roma. Lo stesso dicasi di Ignazio, vescovo di Antiochia, il quale, mentre viene condotto a Roma per esservi giustiziato (107), scrive una lettera ai cristiani di Roma, dove non fa alcuna menzione del vescovo di quella città, prova evidente che quella figura ancora non esiste (DUFFY 2001: 25). Le testimonianze di Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Clemente Alessandrino e Eusebio di Cesarea, circa la presenza di Pietro a Roma, sono tardive e “piuttosto generiche” (RENDINA 1996: 14) e, comunque, non provano che Pietro sia stato capo della comunità cristiana di Roma.

Nerone (54-68) sale al trono quando ha meno di 17 anni e per un po’ il potere è amministrato dalla madre Agrippina, ma ben presto l’imperatore vuole fare tutto da solo e si impegna con assiduità nell’arte del governo. Nel 59, non sopportando la prepotenza e l’arroganza della madre, decide di metterla a morte, poi, sempre più insofferente verso ogni forma di dipendenza, decide di liberarsi anche della moglie Ottavia (62). Nel 64, ordina la persecuzione dei cristiani, ritenuti colpevoli di un grande incendio scoppiato a Roma, nel corso della quale viene messo a morte l’apostolo Pietro. L’anno seguente, vengono eliminati numerosi presunti cospiratori, fra cui il filosofo Seneca. Nel 67 viene decapitato Paolo. Nel 68 si accendono alcuni focolai di rivolta, che Nerone non riesce a fronteggiare adeguatamente e, quando anche il senato gli si volta contro, decide di farla finita e si suicida. Con lui si estingue la dinastia Giulio-Claudia, che ha regnato per un secolo.
Ora le comunità cristiane dispongono di un certo numero di lettere, che sono state scritte non solo da Paolo, ma anche quelle da altri cristiani. Esse vengono lette a brani, e commentate, in occasione degli incontri domenicali dei fedeli, sotto la guida di qualcuno capace di leggere. Il nocciolo della nuova fede è semplice e chiaro: Gesù è il messia, è venuto a salvarci e presto ci farà entrare nel suo regno, anche se nessuno conosce né il giorno, né l’ora. All’interno di ciascuna comunità, qualcuno comincia a riportare per iscritto quel che ha udito sulla vita del Cristo, sui suoi miracoli, i suoi gesti, i suoi insegnamenti, la sua morte e la sua resurrezione. Così, tra il 60 e il 70, cominciano a circolare brevi testi sulla vita di Gesù, che saranno ripresi e ordinati nei Vangeli.

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