domenica 6 settembre 2009

1.3. Il Senato

Ai tempi di Romolo il S. è costituito da cento capiclan (patres), scelti dal re, che diventano trecento alla fine della monarchia. Dalla fine del V secolo, la carica senatoriale è aperta anche agli ex-magistrati plebei, i cui nomi vengono inseriti (conscripti), accanto ai nomi dei patrizi (patres), in un apposito Albo, che viene aggiornato dai censori ogni cinque anni. In teoria, i senatori indegni vengono espunti dall’Albo censorio e perdono la carica. In pratica, è molto difficile che un senatore venga dichiarato indegno e così la sua carita diventa di fatto vitalizia.
Il S. ha la facoltà di eleggere lo stesso re e di dargli il proprio parere (senatoconsulti), ogni volta che questi lo convoca, di proporre le leggi all’assemblea curiata e di ratificare o respingere le deliberazioni dell’assemblea medesima. Inoltre, controlla le finanze, decide le imposte, gestisce la politica estera, designa i governatori delle province e amministra la giustizia. “È il Senato che stabilisce, magistrato per magistrato, la forza degli eserciti e delle squadre, coi mezzi finanziari corrispondenti. È il Senato che concede o rifiuta il trionfo al generale vincitore. È al Senato che i generali e i governatori delle province indirizzano i loro rapporti, e verso di esso si volgono anche coloro i quali hanno da lamentarsi delle loro azioni” (AYMARD, AUBOYER 1954: 106). Insomma, il S. è il massimo organo politico, con funzioni prevalentemente legislative (i senatoconsulti hanno valore di legge).
Anche se è aperto ai plebei, nel S. comanda una ristretta élite patrizia, la nobilitas, che costituisce una vera e propria casta ed esercita un potere enorme, che a volte viene asservito ad interessi personali, generando discordie fra i senatori e veri e propri scandali pubblici. Generalmente i senatori sono grandi proprietari fondiari e dispongono di numerosi clienti e schiavi, ma è fatto loro divieto di praticare attività commerciali e industriali. Queste attività sono principalmente praticate da membri dell’ordine equestre, che costituiscono gli “uomini nuovi” e una forza politica emergente. Dopo essersi arricchiti, essi a volte si alleano coi capi popolari e sfidano l’oligarchia senatoriale. L’autorità del S. è insidiata anche dall’imperium di capi militari, come Mario, che si fanno forti della fedeltà delle proprie truppe. Nello stesso tempo, la plebe si fa più intraprendente e forma dei potenti partiti intorno a figure di capi ambiziosi, come Cesare. Dopo i suoi trionfi militari, Cesare è così potente da ridimensionare il S. ad un ruolo puramente consultivo, anche se porta il numero dei senatori a 900 e apre la carica ad uomini originari delle province, a testimoniare che Roma non è più una semplice città-Stato, bensì un Impero.

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