lunedì 7 settembre 2009

2.23. Il fenomeno del banditismo ai tempi dell’Impero

La pratica delle attività rivolte ad appropriarsi dei beni altrui con la forza, com’è quella cui ricorre il bandito o il pirata o il malvivente, risale alla preistoria dell’uomo e costituisce un modo tra i più rispettati e onorevoli per sopravvivere in un mondo ostile (cfr. Aristotele, Pol. 1256 a-b). Il bandito è semplicemente un uomo coraggioso, che rischia la sua vita in azioni redditizie per sé e per il suo seguito e incarna la legge del più forte. Anche i Greci – racconta Tucidide – si sono dati nel passato alla pirateria “senza ancora vergognarsi di questo modo di agire, il quale anzi portava loro una certa gloria” (I, 5,1). Cicerone riferisce del pirata Barduli, che si comportò coi suoi uomini in modo così equo nella ripartizione del bottino da riceverne l’appoggio necessario per impadronirsi di una parte della Macedonia di cui divenne re nel IV secolo a.C. (Off. II 11, 40).
È col rafforzamento dello Stato che il brigante tende ad essere considerato un criminale, un deviante, un ribelle, un uomo pericoloso, da combattere ed estirpare, come si fa con le malepiante. E, in effetti, il più delle volte, il bandito finisce male, come dimostrano i seguenti due esempi.
Erodiano racconta di Giulio Materno, un militare di carriera, che decide di darsi al brigantaggio. Siamo in Gallia, nel II sec. d.C.. Materno imperversa con le sue scorrerie nella Gallia e nella Spagna, finché decide di marciare su Roma e si fa proclamare imperatore, poi, tradito dai suoi uomini, viene arrestato e giustiziato (BRENT 1993: 377-8). La storia di un altro bandito, Bulla Felix (inizi III sec.), ci viene riferita da Dione Cassio (77,10ss). Alla testa di seicento uomini Bulla saccheggia l’Italia e appare imprendibile, riuscendo a sfuggire anche a forze di gran lunga superiori, finché, con l’inganno, viene catturato e dato in pasto alle belve nel circo (BRENT 1993: 379).
Bandito e Stato sono agli antipodi, essendo i loro interessi antitetici e inconciliabili, eppure non sempre i due antagonisti si guardano minacciosi e non tutti i banditi finiscono male. Qualche volta finiscono in gloria. Ciò dipende da come si comporta il bandito. Se si lascia facilmente catturare, egli viene punito in modo esemplare, come si fa con un ladro o un criminale della peggiore risma, sì che a nessun altro venga voglia di imitarlo. Ma se il bandito resiste e se dimostra una buona capacità di offesa, intelligenza e coraggio, se riesce ad ottenere qualche successo, se incute paura, allora i legittimi capi di Stato iniziano a trattarlo con rispetto, come fanno coi loro pari, e si mostrano disposti a scendere a patti, pronti ad accoglierlo nella propria cerchia, a farne uno di loro: “tutti gli indizi fanno pensare a una sua «cooptazione» da parte dei potenti locali” (BRENT 1993: 364). Talvolta gli fanno delle concessioni, come il riconoscimento della signoria su un territorio, il comando di una legione, l’offerta di denaro o di un matrimonio politico, e altro ancora. Insomma lo premiano. E così se lo tolgono dalle calcagna.
È il caso di Alarico, capo ribelle dei visigoti, che, alla morte di Teodosio, comincia a seminare lo scompiglio nell’impero, devastando la Tracia, la Macedonia, la Tessaglia e l’Illiria. Per toglierselo dai piedi, l’imperatore Arcadio lo nomina governatore dell’Illiria (396). Alarico si volge allora ad Occidente e invade l’Italia settentrionale, dove viene fermato da Ezio. In cambio del suo ritiro Onorio gli promette una grossa somma in denaro, che poi non gli darà, inducendolo a ritornare in Italia e a conquistare Roma (410). “Esempi di briganti-politici che furono in grado di legittimare il proprio potere sono assai ricorrenti, specie nel periodo del collasso dell’Impero, dopo la metà del V secolo, quando briganti isaurici come Zenone poterono diventare generali, consoli e perfino imperatori” (BRENT 1993: 382). Un altro esempio è Genserico, re dei vandali (427-477), che qualcuno considera “il più grande pirata del mondo antico” (FREDIANI 2005: 270). Egli costrinse l’imperatore d’Oriente a trattare e a riconoscerlo signore dell’Africa (442). Alla fine, riuscì ad estendere il suo dominio alla Sicilia, alla Sardegna, alla Corsica e alle Baleari, anche in questo caso facendosi regolarmente riconoscere dall’imperatore (476).

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