Il principio ispiratore della repubblica è quello di impedire l’accentramento del potere in una sola persona, perciò si pretende che le cariche pubbliche (le cosiddette magistrature) siano elettive, collegiali, temporanee e onorifiche, cioè non retribuite. Ciò non significa democrazia. La Repubblica romana non è una democrazia di eguali, ma “una società basata su clan gentilizi, una oligarchia di nobili con i loro sostenitori” (OGILVIE 1995: 13), “un vero sistema di dominio di classe” (OGILVIE 1995: 14), con cittadini di seria A e di serie B. “L’assemblea siede sotto la presidenza del magistrato che l’ha convocata. Questi è l’unico arbitro dell’ordine del giorno e dello svolgimento dei dibattiti. Il popolo non possiede alcun mezzo per imporre la propria volontà di riunirsi, nessun diritto di iniziativa o di emendamento del progetto che gli si sottopone” (AYMARD, AUBOYER 1954: 103). Il fatto è che la Repubblica non è interessata al singolo cittadino e, infatti, “non gli consente di partecipare alla formazione della volontà collettiva se non attraverso la mediazione dei gruppi nei quali può prendere posto” (AYMARD, AUBOYER 1954: 100). In definitiva, la Repubblica romana non è composta di liberi cittadini, bensì di famiglie più o meno ricche e potenti che, nel mentre curano i propri interessi di gruppo, condizionano la politica dello Stato.
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