All’inizio del V secolo, Roma non può nemmeno immaginare di poter conquistare un vasto impero, perché non dispone di una netta superiorità nei confronti delle altre città: può riuscire nell’impresa solo a condizione di mettercela tutta e di avere la fortuna dalla propria parte. E Roma ce la mette tutta, ed è anche fortunata. Adesso è sola e deve far fronte alle altre città latine che sono coalizzate contro di lei. Roma riporta su di loro una non decisiva vittoria al Lago Regilio (494) e, alla fine, deve accettare di costituire insieme a loro una Lega difensiva, all’interno della quale per tutte le città sono previste condizioni di eguaglianza, sancite da un trattato (foedus Cassianum, 486), il quale stabilisce “parità di diritti tra Roma e la Lega, alternanza nel comando degli eserciti, divisione alla pari delle terre conquistate e del bottino” (MOSCATI 1987: 246).
Non mancano i tentativi di affermazione personale condotti da qualche consorteria patrizia, com’è quella che fa capo alla famiglia Fabia, che decide di combattere da sola contro gli etruschi (475), come si usava una volta, quando un solo capobanda faceva tutto da sé. Lo scopo ultimo è quello di impedire l’ascesa della plebe. Ma i risultati di questa politica sono modesti (i Fabii, alla fine, vengono sconfitti) e la rivoluzione politica non può essere arrestata. È in questo contesto, dopo che cioè sono falliti i tentativi di ripristinare la vecchia oligarchia aristocratica, che Roma intraprende la sua politica di espansione, mostrandosi sempre determinata e volitiva, anche quando gli eventi sembreranno prendere una brutta piega.
A est e a sud Equi e Volsci interferiscono con gli affari di Roma e vanno piegati al suo volere. Si apre così un lungo stato di guerra fra queste popolazioni, nel corso del quale Roma attraverserà momenti difficili, come quello in cui essa si vedrà costretta a ricorrere alla dittatura temporanea di Cincinnato (458) che, strappato letteralmente alle sue terre, regalerà ai romani una confortante vittoria. Egli finirà per rappresentare il modello ideale dell’antico romano, contadino, soldato e uomo di Stato.
A nord, sono i Veienti che, impedendo ai romani di occuparsi liberamente dei propri affari, entrano nella loro mira e sono visti da questi come un ostacolo da rimuovere, ma devono trascorrere dieci lunghi anni prima che Veio venga espugnata (396). La caduta di Veio segna un profondo cambiamento della politica di Roma e del suo assetto sociale. Da questo momento la città si impegnerà in una lunga serie di guerre di conquista, e, nel contempo, andrà sviluppando un’adeguata ideologia di supporto, della quale prenderà origine il diritto. “Gli storici romani si sono sempre sforzati di porre saldamente Roma dalla parte del diritto, quali che fossero le circostanze. Infatti tutte le guerre intraprese da Roma sono guerre giuste” (OGILVIE 1995: 166). Dalla guerra si avvantaggiano molti: non solo i facoltosi patrizi, ma anche i plebei, che possono tentare la carriera militare e sperare in nuove vittorie e nuovi bottini. Tutti i cittadini romani, insomma, contribuiscono ad alimentare la politica imperialistica.
Roma non è invincibile e lo dimostra il fatto che non riesce ad evitare la penetrazione dei Galli, che la saccheggiano e la umiliano (390), ma essa è una città caparbia, che non si perde d’animo e trova le risorse per reagire, questa volta affidandosi ad un altro condottiero di valore, Camillo, che caccia i galli e riporta una nuova vittoria su equi, volsci e latini, che, intanto si sono ribellati (389). Adesso che Roma ha imposto la sua superiore forza all’interno della Lega, essa può guardare oltre. Più a sud ci sono i sanniti, che creano qualche fastidio ed è contro di essi che ora bisogna combattere. Si apre così la prima guerra sannitica (343-1), che si conclude con una vittoria non decisiva dei romani, che creano colonie in territorio sannita e, per conseguenza, un cronico stato di inimicizia coi sanniti stessi. Intanto i latini si ribellano nuovamente e nuovamente vengono sconfitti (340-38). Questa volta Roma scoglie la Lega e porta tutta la regione sotto il suo diretto controllo.
La seconda guerra sannitica (327-304) costituisce per i romani un altro momento difficile, che è segnato dalla umiliante sconfitta delle Forche Caudine (321), ma, ancora essi sanno reagire e alla fine escono nuovamente vittoriosi. Nello stesso tempo, equi e volsci vengono definitivamente sottomessi (304). Per sottomettere i sanniti si rende necessaria una terza guerra (299-90), che è segnata dalla decisiva vittoria romana di Sentino (295) e si chiude con l’occupazione romana del Sannio, del Piceno e della Sabina.
Il sistema censitario introdotto da Servio Tullio da un lato fa ricadere sui più ricchi gli oneri militari e fiscali (i più ricchi sono quelli che pagano più tasse e quelli che, quando serve, vengono chiamati alle armi per primi); dall’altro lato attribuisce agli stessi un maggior peso politico e una maggiore influenza nel potere legislativo ed esecutivo. Fino alla seconda guerra punica, Roma ancora non dispone di un esercito permanente e arruola solo i cittadini. La differenza fra monarchia e repubblica è che, nella prima i soldati vengono arruolati fra i cittadini dell’Urbe, nella seconda, a mano a mano che si conquistano nuove terre e si allarga la cittadinanza, si attinge in un’area sempre crescente. I cittadini vengono mobilitati solo alla bisogna, solitamente in primavera, e, schierati di fronte al loro generale, lo acclamano, legittimandolo. Di norma, l’azione militare viene sospesa durante l’inverno, così che essi possono ritornare nelle loro case e al loro consueto lavoro. Il generale ha diritto assoluto di vita e di morte sui suoi soldati, la cui fedeltà e il cui comportamento sono rigidamente controllati. Chi non si comporta a dovere è fatto oggetto di dure ed esemplari sanzioni, fino alla pena capitale. Oltre al terrore, ci sono anche le ricompense, che vanno dalla spartizione del bottino di guerra, all’elargizione di denaro e all’assegnazione di terre (GRIMAL 2004: 145-9).
13. Presente e Futuro
15 anni fa
Nessun commento:
Posta un commento