lunedì 7 settembre 2009

2.19. Teodosio

Intanto, Valente subisce una terribile disfatta ad opera dei Visigoti e muore in battaglia (378) e, al suo posto, si insedia Teodosio (379-95), un eccellente generale. Tanto Graziano quanto Teodosio sono imperatori cristiani e lo dimostrano con la loro politica: il primo abbandona il titolo di pontifex maximus, il secondo proclama la fede basata sul credo di Nicea l’unica vera religione (380) e mette al bando ogni forma di culto pagano (392). In pratica, con questi provvedimenti, il cristianesimo diviene religione di Stato e il paganesimo tramonta definitivamente. Nel 383, Graziano viene assassinato e il suo trono usurpato da Magno Massimo (383-388), un generale di umili origini, che è acclamato augusto dalle milizie della Britannia. Egli convince molti capi barbari ad abbandonare Teodosio, costringendo questi a riconoscerlo: prima si deve occupare delle defezioni. L’operazione di polizia avviata da Teodosio è grandiosa e solo pochi capi barbari riescono a sfuggire ai controlli e a salvare la vita. Organizzati in bande, essi si danno al brigantaggio. Fra costoro c’è Alarico. Finalmente Teodosio è pronto per marciare contro Magno Massimo, che viene sconfitto (387) e ucciso dai suoi stessi soldati (388), così che Teodosio rimane unico padrone del campo.
Debole in materia di religione, Teodosio si lascia sovrastare dalla forte personalità di Ambrogio, figlio di un alto funzionario dello Stato, che, abbandonata la carriera del padre, alla quale è indirizzato, diviene vescovo di Milano (374-97), qualche anno prima che sieda sul trono un’altra forte tempra d’uomo, l’imperatore Teodosio. Nel confronto, ha la meglio Ambrogio, che riesce a servirsi dell’imperatore per raggiungere il suo principale obiettivo, che consiste nella soppressione di tutte le religioni non cristiane. Teodosio, invece, prevale come condottiero e come abile uomo politico. Egli accoglie entro i confini dell’impero intere tribù di visigoti, germani e unni, cui concede di vivere secondo le proprie leggi, a condizione che forniscano all’impero soldati e lavoratori agricoli. L’accresciuta spesa militare dev’essere compensata da un’adeguata pressione fiscale, che risulta molto gravosa per i cittadini, specie per le fasce più deboli, che non possono più far conto sui “difensori del popolo”, il cui ruolo è, di fatto, reso nullo.
Sotto Teodosio, viene compilato il Codice Teodosiano, un’opera in sedici libri, che viene pubblicata nel 428. È una raccolta di leggi emanate nell’ultimo secolo e, dunque, nel periodo in cui il cristianesimo è in forte ascesa e sta permeando la cultura sociale coi propri valori. Ci si aspetterebbe un diritto rivoluzionario, fondato sul rispetto e sull’eguaglianza delle persone, ma così, purtroppo, non è: rimane la vecchia distinzione fra cittadini di serie A e di serie B e la disuguaglianza di fronte alla legge. È evidente che il cristianesimo non ha cambiato il sistema politico, la struttura del potere e l’impostazione duale della società, ma anzi li ha, per così dire, consacrati e cristallizzati.

2.19.1. I barbari sotto Teodosio
Dopo la disfatta del 378, i romani scoprono di essere meno forti di quello che pensavano e di non poter fare a meno della forza bruta dei barbari. A Teodosio altro non resta che scendere a patti coi Goti, che accoglie nell’impero e dei quali si serve come di una risorsa indispensabile per la propria politica. Da questo momento, non è più l’imperatore a pilotare gli eventi: sono piuttosto gli eventi a condizionare le sue scelte. Ai cittadini romani, che non hanno più voglia di arruolarsi nell’esercito, viene concessa la facoltà di commutare il servizio militare col pagamento di una tassa: al loro posto si arruolano i barbari, che sono desiderosi di integrarsi. L’arruolamento nell’esercito offre ai barbari non solo l’opportunità di diventare cittadini romani, ma anche quella di far carriera fino ai massimi posti di comando.
Da questo momento, la forza militare dell’impero d’Occidente è rappresentata principalmente, e in misura crescente, dai barbari e, dato che l’impero s’identifica innanzitutto con l’esercito, ne consegue che esso è ormai di fatto nelle mani dei barbari, nei confronti dei quali i civili romani si trovano in stato d’inferiorità, almeno sul piano della forza. Nel suo insieme, ora l’impero d’Occidente è una società multietnica, dove romani e barbari godono dello stato giuridico. I barbari dunque non sono più né stranieri, né inferiori, ma cittadino come gli altri, cittadini che parlano la stessa lingua e professano la stessa religione e la cui inferiorità sul piano culturale è ampiamente compensata dalla loro superiorità sul piano militare. L’imperatore deve necessariamente essere indulgente nei loro confronti, perché la sua autorità dipende dalla forza delle loro armi, mentre i civili possono essere impunemente discriminati. Ai romani rimane la gestione dell’amministrazione dello Stato, dato che i barbari non si sentono all’altezza del compito. In realtà la situazione non è così lineare e semplice. Molti capi barbari, infatti, rifiutano di obbedire alle autorità costituite e si comportano come briganti, oppure si vendono al migliore offerente. Nei loro confronti l’imperatore è per lo più impotente.

2.19.2. Il vescovo di Roma nella seconda metà del IV secolo
Nella seconda metà del IV secolo si accentuano le lotte intestine per la carica di vescovo, come quella che vede di fronte i diaconi Ursino e Damaso per la carica di vescovo di Roma. Ha la meglio Damaso (366-84), che riapre la questione del primato petrino. I concili di Roma (369) e di Antiochia (378) lo assecondano e stabiliscono che un vescovo può essere considerato legittimo solo dopo che la sua nomina è stata ratificata dal vescovo di Roma. I fatti però dimostrano che siamo ancora lontani dal “primato”. Al concilio di Costantinopoli (381), infatti, Damaso (366-384) non viene neppure invitato. Un altro concilio, tenuto a Roma nel 386, ribadisce il primato del vescovo di Roma sugli altri vescovi e Siricio (384-99), può assumere per la prima volta il titolo di “papa”, senza che però a quel titolo corrisponda un adeguato potere. È un significativo passo avanti in direzione del papato, ma solo in linea di principio e insufficiente a risolvere i problemi dottrinali che continuano ad affliggere la chiesa.
Continuano a circolare, infatti, diverse interpretazioni della stessa dottrina, che appaiono incompatibili fra loro e, soprattutto, contrastano con la convinzione che esiste un’unica verità. Se una sola dottrina è vera, le altre sono eretiche. Ma quali? Non essendoci ancora una figura papale dotata di potere sovrano, a fare da arbitro continua ad essere l’imperatore, che però, essendo poco esperto in materia, si affida ai propri consulenti. In pratica, il vescovo più vicino all’imperatore è colui ha rappresenta la vera chiesa. È in quest’ottica che si spiegano le prime condanne all’interno del cristianesimo, come quella di Priscilliano, che viene giustiziato, insieme ad altri sei compagni, per eresia (385). Il vero capo della chiesa continua ad essere l’imperatore, il quale esercita il diritto di ratifica del papa, dopo che questi è stato eletto dal popolo di Roma, che è rappresentato dal Senato.

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