domenica 6 settembre 2009

2. L’Impero (27 a.C. – 476 d.C.)

Morto Crasso (53), fra Cesare e Pompeo si apre uno stato di lotta per il primato, che si tramuta in guerra civile (48-45). Alla fine esce vittorioso Cesare, che impone la dittatura, ma viene ucciso in una congiura di filo-repubblicani (44), capeggiata da Bruto e Cassio. L’eredità politica di Cesare viene raccolta dal nipote e figlio adottivo Ottaviano (31 a.C. – 14 d.C.), il futuro imperatore Augusto, e dal suo principale luogotenente, Marco Antonio, che ben presto diventeranno nemici implacabili. Antonio è un esperto generale, nel pieno della maturità (ha 39 anni), Ottaviano ha appena 19 anni, è poco avvezzo all’arte militare ed è di fragile costituzione, ma è dotato di grande carattere, eccezionale grinta e straordinaria intelligenza, oltre che di una buona dose di ambizione, e può contare sull’appoggio del Senato e del ricchissimo Mecenate. Ottaviano deve scegliere: o si ritira dall’agone politico, lasciando campo libero ad Antonio, o vi si cimenta, nella consapevolezza di affrontare una gara difficile e rischiosa, e non solo per la propria persona, ma anche per quella dei propri cari. Sceglie la seconda alternativa.
Ottaviano inizia a tessere la propria trama. Prima mossa: arruola un esercito a proprie spese. Seconda mossa: nonostante non ne abbia alcun diritto, a causa della sua giovane età, accoglie l’invito del senato e si fa eleggere console, ottenendo così il pieno controllo di Roma. Ma deve fare i conti con diversi competitori: in Occidente, oltre ad Antonio, c’è anche Lepido, un ex-generale di Cesare, uomo di modesta levatura e dalla scarsa personalità, mentre in Oriente ci sono i repubblicani Bruto e Cassio, che lì si sono attestati con un loro esercito. Ottaviano, Lepido e Antonio decidono di formare un nuovo triumvirato (43) e, insieme, sbaragliano le truppe di Bruto e Cassio (42). In pratica l’impero rimane diviso fra Ottaviano e Antonio, essendo Lepido una figura di secondo piano. Invaghitosi di Cleopatra, regina d’Egitto, Antonio si comporta più come sovrano egiziano che come generale di Roma, e ciò viene sfruttato abilmente da Ottaviano nella sua propaganda politica, che sfocia nella dichiarazione di guerra all’Egitto (32-30) e nella vittoria di Ottaviano, che resta capo unico dell’impero. Molti suoi nemici vinti vengono colpiti con la prescrizione e gran parte delle loro proprietà vengono distribuite ai veterani, a cui deve la propria gloria e di cui vuole ingraziarsi i favori anche in futuro. Seppur nel rispetto formale del prestigio e dell’autorità del senato, Ottaviano si impadronisce gradualmente di ogni potere: assume i titoli adeguati al suo ruolo («Primo fra i senatori», «Imperatore», «Augusto», «Padre della patria», «Pontefice massimo») e pretende il culto come a un dio.
Nel complesso, Augusto governa con moderazione, mirando, più che ad ingrandire l’impero, a stabilizzarne i confini, promuove la pace interna e favorisce la cultura, specie attraverso il suo migliore amico Mecenate: basti pensare che tre fra i maggiori scrittori latini, Livio, Virgilio e Orazio, appartengono proprio a questo periodo. Tra le riforme attuate da Augusto, merita di essere ricordata l’istituzione dei pretoriani, un corpo militare scelto e ben pagato, formato da circa dieci mila uomini, prevalentemente dislocati nelle principali città d’Italia, con la funzione di difendere la persona dell’imperatore, di tenere a bada il senato e di prevenire o soffocare sul nascere ogni tentativo di ribellione. Augusto crea anche un esercito di professione, grazie alla sostituzione del “servizio a rotazione di tutti col servizio continuato di alcuni” (CARRIÉ 1993: 104). Da questo momento il cittadino comincia a vedere nel soldato un buono a nulla, uno che, non avendo la voglia o la capacità di lavorare, impugna le armi al solo scopo di farsi mantenere dalla comunità: è un povero diavolo che deve pur vivere, ma anche un opportunista, che non esita ad approfittare di ogni situazione a lui favorevole, come quella di vendersi al migliore offerente, insomma un personaggio infido e pericoloso, da cui guardarsi (CARRIÉ 1993: 107).
La riforma militare comporta anche una graduale riduzione del numero delle legioni, che passa da sessanta a ventotto, e ciò comporta un alleggerimento delle spese pubbliche, che si accompagna ad una imposizione fiscale non particolarmente onerosa. Apparentemente i comizi, le magistrature e il senato vengono conservati, mentre la funzione primaria dell’imperatore è quella di evitare il ripetersi di guerre civili. Inoltre, l’imperatore dovrebbe essere prescelto dal senato. In pratica, così non è. In realtà, l’imperatore viene designato dal predecessore e/o imposto dalle legioni, mentre i comizi perdono ogni funzione e il senato assume il ruolo di unico rappresentante del popolo.
Augusto ha una figlia sola, Giulia, e due figliastri, Tiberio e Druso, che gli vengono dalla moglie Livia, appartenente alla famiglia Claudia. Sarà proprio Tiberio (14-37) a sposare Giulia e a succedergli. Tra le sue iniziative merita di essere ricordata, per le gravide conseguenze, la concentrazione della milizia pretoriana nei pressi di Roma, “in un campo permanente, accuratamente fortificato, e situato in modo da dominare tutta la città” (GIBBON 1967: 101). Dotato di personalità schiva e riservata e coltivando, in fondo al cuore, una fede repubblicana, Tiberio si trova a disagio sia coi funzionari della corte, in particolare col prefetto del pretorio Seiano, sia con il senato, e decide di trasferire la sua residenza a Capri. Il panorama politico è relativamente tranquillo, non così l’ambiente di corte, dove l’astuto Seiano trama per tenere alto il proprio potere, finché, scoperto, viene messo a morte.
Sotto Tiberio, avviene che un certo Gesù di Nazareth, il trentenne figlio di un falegname ebreo, inizia a farsi notare per le strade di Galilea, in un momento in cui è alto, presso gli ebrei, il fervore messianico, che è alimentato dall’insofferenza nei confronti dell’odioso dominio romano e dalla mai sopita speranza in un liberatore. Gesù è un uomo straordinario, che parla in modo semplice e profondo, fa vibrare le corde dei sentimenti di coloro che lo ascoltano e compie miracoli nel nome di Dio, così che molti non esistano a vedere in lui il messia atteso e si mettono al suo seguito. Il suo messaggio è semplice: rispettate la legge di Dio, ossia la legge dell’amore, non attaccatevi al denaro, e nemmeno al potere, perché il regno di Dio è vicino e in esso saranno accolti solo coloro che si comportano secondo l’etica cristiana dell’amore scambievole! Semplice a dirsi, ma difficile a mettersi in pratica in un mondo dominato dalla legge della forza, dove i soprusi, le prevaricazioni, le prepotenze, le ingiustizie, le angherie e le violenze sono all’ordine del giorno.
Gesù viene arrestato, processato e messo a morte con l’accusa di sobillare il popolo e di proclamarsi re dei giudei. La sua figura, i suoi gesti, il suo stile di vita, le sue parole, rimangono, però, bene impressi nella memoria dei suoi discepoli, che, soprattutto, restano folgorati quando trovano vuota la tomba, dove Gesù era stato sepolto appena tre giorni prima. A quella vista, prorompe entusiastico il loro urlo di gioia: Gesù è risorto, dunque è, davvero, il Figlio di Dio! L’annuncio di questa “lieta novella” trova inizialmente un’accoglienza tiepida: molti si mostrano diffidenti, altri francamente ostili. Fra questi ultimi, c’è un rabbino ebreo, originario di Tarso in Cilicia, di nome Paolo, che vede nella nuova religione una setta scismatica, da estirpare.
Dopo Tiberio, diventa augusto un altro membro della famiglia Claudia, Caligola (37-41), il cui regno è caratterizzato da intrighi di corte e complotti, l’ultimo dei quali risulta fatale all’imperatore. Gli succede Claudio (41-54), il quale elargisce grandi donativi ai pretoriani che lo hanno acclamato, creando un precedente gravido di conseguenze. Anche contro Claudio vengono orditi numerosi complotti, che costano la vita a decine di senatori e a centinaia di cavalieri, senza tuttavia raggiungere il loro scopo. La vita degli imperatori si sta rivelando tutt’altro che tranquilla: il potere dà tanto, ma costa anche tanto.

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